Quando un vino è "grande"? E perché?

A cosa ci riferiamo quando parliamo di “grande vino”? Per molti la questione si risolve piuttosto facilmente: un vino è “grande” quando può esibire il suo bel pedigree che lo qualifica come tale. E questo pedigree si deduce dai premi che riceve, dalle recensioni di illustri critici che ne esaltano l'eccellenza, dal punteggio ottenuto nelle pubblicazioni di settore e, per quanto paradossale possa sembrare, dal prezzo in enoteca.

Ma le cose stanno proprio così? Sempre e comunque? A nostro avviso no. E pur non disconoscendo il ruolo, importante, attribuibile ad una corretta critica specializzata ci sembra che una valutazione su criteri così standardizzati e ammantati di presunta oggettività, dia solo in parte ragione della grandezza di un prodotto. Il rischio è livellare il gusto, se non, soprattutto, il piacere del bere bene su livelli di assolutezza che daranno gran soddisfazione al mercato, ma che non rendono mai la complessità di una regione, di una zona, di una professionalità che non necessariamente rincorre i grandi premi a tutti i costi per potersi distinguere.

Il vino non è un prodotto come gli altri.

Da qui, ad esempio nei vini rossi, la ricerca quasi ossessiva della concentrazione, dello spessore del vino, del suo essere allevato in barrique anche quando non serve. Col risultato che spesso anche da vitigni non particolarmente “importanti”, grazie alle tecniche di cantina (non certo deprecabili di per sé, sia ben chiaro), si ottengono vini molto lontani dalle loro caratteristiche originarie, tradendone le peculiarità che quando espresse potrebbero portare a risultati di assoluto pregio, quando non di eccellenza.

Vini così intesi, e questo vale anche per i bianchi, rischiano di essere solo prodotti, concepiti per un consumo il più possibile privo di sorprese, affidabile, che incontri il gusto del pubblico a qualsiasi prezzo. Ma la qualità di un vino, quella vera, è un'altra storia...

La capacità di invecchiamento non è un criterio qualitativo.

Ci sono vini destinati all'invecchiamento, altri al consumo entro l'anno. Per qualcuno questo è già di per sé un criterio qualitativo, ancor prima che oggettivo. Un criterio che orienta non solo la scelta di acquisto, ma che tende a stabilire una gerarchia di valori sulla cui fondatezza è lecito sollevare dei dubbi.

Per fare un confronto i termini devono essere omogenei. Paragonare un Barolo ad un Chianti non avrebbe più senso di quanto non possa averne accostare una sinfonia di Beethoven a una canzone dei Beatles: stiamo parlando di cose diversissime tra loro. L'unica cosa che le accomuna è il fatto di essere Musica. Così come Champagne e Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore hanno in comune il fatto di essere Vini. Nient'altro. Ma sia l'uno che l'altro, quando ben fatti, regalano emozioni uniche, assolutamente incomparabili tra loro. La loro diversità è l'autentico punto di forza, la gioia di tutti gli appassionati. Il problema è che sempre più spesso si rischia di imbattersi in vini che indipendentemente dallo loro provenienza si assomigliano un po' tutti...

Ed è da qui che si deve partire. Un vino è il frutto di tante cose: peculiarità del terreno, esposizione al sole del vigneto, tipologia di vitigno coltivato, forme di allevamento della vite, tipologia della vendemmia, tradizione enologica dei vignaioli, scelte del produttore, storia della cantina...

La territorialità: ecco il valore che cercavamo.

Territorialità: un termine di cui spesso e volentieri si abusa, in modo indiscriminato; e che però mantiene una sua valenza irriducibile, qualora lo si riporti al suo significato più autentico. Perché alla fin fine di questo si tratta. È quello che noi vogliamo sentire in un vino, la sua genuinità, la sua appartenenza ad una cultura, ad un profilo espressivo che rende un vino inconfondibile e che il produttore, nella sua costante ricerca della qualità, persegue tutti i giorni. Qui sta la vera grandezza: al di là dei premi; al di là delle mode. Qui sta la vera soddisfazione che ciascuno di noi ricava dal degustare una buona bottiglia.

Come scriveva più di 20 anni fa Sandro Sangiorgi, critico raffinato e grande divulgatore: “in un'epoca in cui prevale la tendenza a uniformare e ordinare qualsiasi cosa in rassicuranti gerarchie, il vino ci appare invece sfuggire, ribellarsi per la sua stessa natura a questa logica classificatrice.”

Parole sante. Oggi più che mai.

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Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco: la base per un aperitivo perfetto!

Cosa c'è di più conviviale di un aperitivo in compagnia? E di un Conegliano Valdobbiadene Prosecco? Unite le due cose e avrete un mix inconfondibile!

Il piacere di bersi un aperitivo prima di andare fuori a cena o prima di rientrare a casa dopo il lavoro è, in particolare nel Nord-Est, molto più di un'abitudine: è una tradizione. Una tradizione che ha molto a che fare con quella che i francesi chiamano joie de vivre: la capacità cioè di prendere le cose per il loro verso, di sdrammatizzarle quanto basta e soprattutto di condividere del tempo con gli amici, da queste parti molto di più che una semplice consuetudine sociale.

Sia nella tipologia Extra Dry che Brut, il Conegliano Valdobbiadene è in grado di sposarsi con innumerevoli ingredienti dando luogo, fantasia permettendo, a dei cocktail assolutamente godibili tanto d'estate quanto d'inverno. Perché? È presto detto. Il Conegliano Valdobbiadene è un vino moderatamente aromatico, fruttato e floreale (anche nelle sue versioni più secche); è un vino giovane, leggero, fragrante che ama la gentilezza e non la forza; che sa essere suadente senza essere stucchevole; che sa farsi sentire senza essere invadente. Insomma: è la base perfetta.

Quali sono allora i 3 cocktail più celebri creati con il Prosecco? Eccoli qui.

Lo Spritz: Sua Altezza Reale

Come non partire da lui? Nato verso la fine dell'ottocento dall'abitudine dei soldati austriaci di stanza in Veneto e Friuli di tagliare i vini bianchi, considerati troppo forti, con del selz (spritzen significa infatti spruzzare), raggiunge la sua canonizzazione pressoché definitiva nei primi del '900 a Venezia. La grande trovata è viva e vegeta ancora oggi e ha, letteralmente, fatto il giro del mondo: l'aggiunta di Aperol. Si sono poi diffuse le versioni “spurie”, come quella al Campari, al Cynar, al Sambuco o quella “bianca”, ossia senza aggiunta di liquori.
Soprattutto in quest'ultimo caso l'eccellenza della materia prima è tutto. Un vino scadente darà inevitabilmente un cocktail pressoché imbevibile.

L'altra questione essenziale è il dosaggio degli ingredienti: un buon cocktail è sempre un capolavoro di equilibrio. Lo spritz perfetto ha queste proporzioni: 3 parti di Conegliano Valdobbiadene Prosecco, 2 parti di Aperol (o altro a piacere), 1 parte di selz, soda o acqua minerale gassata. Da guarnire con una fettina d'arancia o di limone.

Il Bellini: l'arte in un bicchiere

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il Bellini in questione non è il celebre musicista, ma un pittore. In occasione di una mostra a Venezia di Giovanni Bellini, detto il Giambellino, Giuseppe Cipriani (sempre lui! il proprietario dell'Harry's Bar di Venezia, già inventore del Carpaccio, ricetta a base di carne cruda dedicata all'omonimo pittore) decise di omaggiare l'artista con un cocktail che ne celebrasse la grandezza.

Ricetta estiva per eccellenza, il Bellini si basa unicamente su 2 ingredienti: pesche bianche fresche e spumante. Per ottenere il massimo da questo drink così dissetante, evitate di usare del succo industriale: procuratevi invece delle pesche bianche e frullatele fino ad ottenere una purea molto fluida. Fatto ciò procedete in questo modo: versate il succo di pesca in una flûte, quindi adagio, il Conegliano Valdobbiadene, fino a riempire il bicchiere. Le proporzioni sono fondamentali, come sempre: 1 parte di nettare di pesca, 2 di vino.

Lo Sgroppino: pura freschezza!

In particolare dopo un lauto pranzo lo Sgroppino è visto come una benedizione. Il nome deriva da “Sgropin”, termine con il quale in Veneto si indicava il sorbetto di limone preparato senza aggiunta di latte. Fresco, dissetante, piacevolissimo, lo Sgroppino coniuga l'acidità del sorbetto con la fragranza dello spumante. Se non amate il limone potrete sostituirlo con un sorbetto di altra frutta a vostro piacere: il risultato sarà sempre eccellente.

Ma veniamo alla preparazione. Tirate fuori dal freezer il sorbetto in modo che s'ammorbidisca un po' (basterà una mezz'oretta). Mettetene poi 8 cucchiai in un frullatore assieme a 200 ml di Conegliano Valdobbiadene e, se volete, a 8 cucchiai di Vodka (a nostro parere non indispensabile). Miscelate il tutto e servite subito. Attenzione: il liquore dopo un po' tende ad adagiarsi nel fondo del bicchiere. Nel caso mescolate.

Naturalmente la storia non finisce qui: la versatilità del Conegliano Valdobbiadene è tale da permettervi di creare il vostro cocktail preferito secondo il vostro estro. E se questo accadesse non tenetevelo per voi: fatecelo sapere e sperimenteremo anche noi. Buon divertimento!

Trovalo qui il Conegliano Valdobbiadene per il tuo cocktail ideale!

 

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Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco: tutta l'eccellenza della DOCG.

Quando dici Prosecco la prima cosa a venirti in mente è il Conegliano Valdobbiadene, non è vero? Un vino che ti evoca un paesaggio, una tradizione, una cultura secolare. Un vino diventato il simbolo di un territorio, come pochi altri in Italia. Delle centinaia di milioni di bottiglie etichettate come Prosecco però, soltanto una minima parte deriva da quel territorio: le altre provengono da zone distanti anche centinaia di chilometri...

Il prosecco DOCG: un marchio di garanzia

L'Italia è un paese di grande tradizione vinicola. Al vertice della piramide qualitativa, le zone storicamente riconosciute come le più vocate vengono valorizzate con un marchio di garanzia che ne consacra il prestigio: la DOCG, acronimo di Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Dal 2009 il Conegliano Valdobbiadene Prosecco è una DOCG, dunque è un'eccellenza. O altrimenti detto: poiché il Conegliano Valdobbiadene Prosecco è un'eccellenza è anche DOCG.

Secondo il “Quaderno Tecnico” realizzato dai Vivai Cooperativi Rauscedo e dedicato alla Glera, su circa 40.000 ettari coltivati a Glera (vitigno base per produrre il Prosecco) e dislocati prevalentemente nel Veneto e nel Friuli Venezia-Giulia, poco più di 8000 sono DOCG, e quindi compresi tra Valdobbiadene e Conegliano, circa 25.000 rientrano nella DOC e la parte rimanente nella IGT (Indicazione Geografica Tipica).

Dalla lettura di questi dati avrai già compreso un primo corollario fondamentale: più una zona è vocata, più è circoscritta e più pregiati saranno i vini che essa esprime.
Esiste anche un secondo corollario, meno evidente ma altrettanto essenziale: il vino più pregiato è quello che sa esprimere al meglio le caratteristiche del proprio territorio.

L'etichetta: come riconoscere un Prosecco Superiore DOCG

Prima di assaggiare il vino devi verificarne la provenienza: la generica dicitura “Prosecco”, lo abbiamo visto, non basta. Quali sono allora gli elementi cui devi prestare attenzione per essere certo di aver fatto l'acquisto giusto?

La prima cosa da controllare è la fascetta di Stato, che per i DOCG ha sempre i bordi dorati. Posta sul collo della bottiglia, contiene il numero identificativo del singolo prodotto; il logo del consorzio “Conegliano Valdobbiadene DOCG”; la sigla DOCG e la denominazione del vino: Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore.

La seconda è l'etichetta, la carta di identità del vino. Imparare a leggerla ti eviterà brutte sorprese.
Facciamo un esempio concreto su uno dei nostri vini con l’etichetta più complessa e ricca di informazioni: il “Rive di San Michele”.

L'etichetta anteriore presenta subito il vitigno di provenienza “Rive di San Michele”. Non è un dettaglio secondario: ti dice subito che il vino che hai in mano non è una cuvée, ossia un assemblaggio di vini provenienti da vigneti dislocati in zone diverse, per quanto sempre coltivati a Glera e all'interno della DOCG, come avviene normalmente. L'indicazione “RIVE” segnala una sotto zona particolarmente vocata (in francese “cru”), da cui si ricava un vino ottenuto solo con uve di quel vigneto specifico. Un'eccellenza nell'eccellenza insomma!

Segue la denominazione “Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG” e il nome del produttore SOMMARIVA.

Nell'etichetta posteriore troviamo l'anno della vendemmia (obbligatorio per i cru); la tipologia del prodotto (qui Extra Dry) che definisce il residuo zuccherino; il grado alcolico (11,5° vol), la capienza della bottiglia (0,75 l) e la ragione sociale del produttore che ha imbottigliato.

Capire cosa significhi far parte di una DOCG e trovarne riscontro in etichetta sono i punti di partenza per avvicinarti al Conegliano Valdobbiadene.
E quanto più sarai in grado di riconoscere la territorialità di un Prosecco DOCG, i suoi profumi caratteristici, il modo in cui si sviluppa in bocca tanto più saprai apprezzarne il valore, l'unicità e la sua inconfondibile fragranza. E, vedrai, non ci sarà altro Prosecco che tenga!

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